Il ritorno della paranoia

04.09.2015 14:43

La libertà non è solo possibilità di espressione, alleggerimento della vita da vincoli oscurantisti, emancipazione dell’uomo dal suo stato di minorità, come Kant aveva classicamente definito l’illuminismo.
La libertà è anche una esperienza di vertigine e di solitudine che comporta il rischio di vivere senza rifugi, senza garanzie ultime, senza certezze imperiture e fuori discussione. Lo stesso Nietzsche che fu uno dei maggiori sostenitori della libertà del soggetto di fronte ad ogni verità che pretende di porsi come assoluta, insisteva costantemente nel ricordare che la libertà suscita angoscia, spaesamento, che il navigare in mare aperto può generare una seduttiva nostalgia per la  terra ferma.
E’ in questa luce che la psicoanalisi ha interpretato la psicologia delle masse dei grandi sistemi totalitari del Novecento. Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) di Freud, Psicologia di massa del fascismo (1933) di Reich e Fuga dalla libertà (1941) di Fromm costituiscono una sorta di fondamentale trilogia sul fenomeno sociale del fanatismo di massa e dei suoi processi identificatori che hanno costituito il cemento psicologico di tutti i totalitarismi novecenteschi. Una tesi generale ritorna in questi tre testi: non è vero che gli esseri umani amano senza ambivalenze la loro libertà; essi preferiscono anche rinunciarvi in cambio della tutela autoritaria della loro vita. Se la libertà comporta sempre la possibilità della crisi, dell’incertezza, del dubbio, del disorientamento, è meglio fuggire da essa per ricercare in un Altro assoluto una certezza granitica e inamovibile sul senso della nostra presenza al mondo e del nostro destino.
Questo ritratto della psicologia delle masse sembra aver fatto – almeno in Occidente – il suo tempo. La nuova psicologia delle masse non si fonda più, infatti, sullo sguardo ipnotico del Padre-padrone, sul leader come incarnazione farneticante dell’Altro assoluto e sulla esaltazione acritica della Causa (la Natura, la lotta di classe, la Razza). La cultura patriarcale, di cui il totalitarismo fu l’apoteosi più aberrante e crudele, si è lentamente dissolta.
Al centro dell’Occidente non è più la dimensione tirannica della Causa ideale che mobilita alla guerra le masse, ma quella dell’individualismo esasperato, della rincorsa alla propria affermazione personale, dell’ipertrofia narcisistica dell’Io.
Al cemento armato dei regimi totalitari si è via via sostituita una atomizzazione dei legami sociali causata dalla decadenza fatale della dimensione dell’Ideale rispetto a quella cinica del godimento.
La centralità della paranoia ha lasciato il passo a quella della perversione. Il culto pragmatico del denaro ha sostituito il culto fanatico dell’Ideale. Il nichilismo occidentale non sorge più dalle adunate delle masse disposte a sacrificare la vita per il trionfo della Causa, ma dal capitalismo finanziario e dalla sua ricerca spasmodica di un profitto che vorrebbe prescindere totalmente dalla dimensione del lavoro. Il nichilismo contemporaneo non si manifesta più nella lotta senza quartiere contro un nemico ontologico, ma come effetto di una caduta radicale di ogni fede nei confronti dell’Ideale.
E’ il passaggio epocale dalla paranoia alla perversione.
Gli ultimi drammatici fatti che hanno investito la Francia e l’Europa comportano però un ulteriore cambio di scena. La critica che la cultura islamica più integralista muove all’Occidente è una critica che tocca un nostro nervo scoperto: il nichilismo occidentale non  è più in grado di dare un senso alla vita e alla morte. Il dominio del  discorso del capitalista ha infatti demolito ogni concezione solidaristica dell’esistenza lasciando orami evasa la domanda più essenziale: la nostra forma di vita collettiva è l’unica forma di vita possibile?
L’idolatria nichilistica per il denaro ha davvero reso impossibile ogni altra fede?  
Il fatto che l’Occidente che non sia più in grado di ripensare le sue forme di vita, ha spalancato la possibilità che la critica all’esistente assuma le forme terribili di un ritorno regressivo all’ideologia totalitaria. Quello che non trova posto nel simbolico ritorna nelle forme orribili e sanguinarie del reale.
L’Islam radicale non è forse l’incarnazione di questo ritorno?
La sua critica all’Occidente è fanatica e intollerante ma si iscrive in quello spazio lasciato aperto dalla crisi dei valori che scuote alle fondamenta lo stesso Occidente. La nostalgia del padre può essere mostruosa: l’integralismo islamico costituisce il ritorno alla più feroce paranoia di fronte alla perversione montante che ha  invaso  l’Occidente.
Mentre la perversione sfuma sino ad annullare i contrari, destituisce ogni senso della verità, confonde i buoni con i cattivi, mostra in modo disincantato che tutti gli esseri umani hanno un prezzo, la paranoia insiste nel mantenere rigidamente distinti il bene dal male, il buono dal cattivo, il giusto dall’ingiusto offrendo l’illusione di una protezione sicura dall’angoscia della libertà. Ma la sottomissione all’Altro salva e distrugge nello stesso tempo.
In due importanti libri dedicati all’Islam radicale (La psicoanalisi alla prova dell’Islam, Neri Pozza 2002,Dichiarazione di non sottomissione, Poiesis 2013) lo psicoanalista franco-tunisino Fethi Beslam, professore di psicopatologia all’Università di Parigi-Diderot, ci ricorda come la potenza seduttiva dell’integralismo islamico consista proprio nel proporsi come la sola interpretazione possibile dell’Origine, della voce di Dio, dell’unico Dio che esiste, del Dio “furioso” e giustiziere implacabile. Si tratta di una ideologia identitaria che comporta la sottomissione come unica possibilità di rapporto alla verità e che si fonda sulla cancellazione dell’alterità di cui la rimozione della femminilità è l’espressione più forte ed emblematica.
L’amore per la Legge sfocia così fanaticamente nell’auto-attribuzione del “diritto di vita e di morte su ogni cosa”. E’ la forma più terribile di  blasfemia: uccidere, sterminare, terrorizzare nel nome di Dio.     
L’Occidente che ha dato prova di aver saputo superare la stagione delirante dei totalitarismi, non ha ora solo il compito di difendersi dal rischio del dilagare della violenza paranoica dell’Islam radicale, ma dovrebbe soprattutto rifondare laicamente le ragioni del proprio stare insieme contrastando la deriva - altrettanto nichilistica di quella fondamentalista-  della perversione  idolatrica e predatoria che abita il  discorso del capitalista.

di Massimo Recalcati

https://www.psychiatryonline.it/node/5484